La famiglia Nobel era una ricca famiglia di industriali svedesi che si occupava della produzione e del commercio di armi. Immanuel Nobel si era trasferito nel 1837 dalla Svezia alla Russia per arricchirsi sfruttando le mire espansionistiche dello Zar Nicola I. Il figlio Alfred, a 18 anni – come i rampolli di tutte le famiglie ricche di quel periodo – fece un viaggio in Nord America ed in Europa che lo portò ad incontrare, a Torino, un professore di chimica, Ascanio Sobrero, che era rimasto sfigurato dall’inattesa esplosione di un composto che stava preparando, l’estere trinitroglicerico (che poi verrà chiamato nitroglicerina).
Nel 1856 la famiglia Nobel rientrò in Svezia dopo la sconfitta della Russia nella guerra di Crimea, il trattato di Parigi e la fine degli affari bellici.
In Svezia decisero di sfruttare le potenzialità belliche della nitroglicerina mescolandola alla polvere da sparo ed aprirono fabbriche di armi ed esplosivi un po’ dappertutto.
Il problema è che la nitroglicerina era comunque troppo instabile e queste fabbriche ogni tanto esplodevano, ammazzando lavoratori e chi viveva e transitava nella zona. È successo a Krummel in Germania, a Lysaker in Norvegia, a Vinterviken in Svezia. Alla famiglia Nobel della morte dei lavoratori non importava un granché finché non esplose, nel 1864, la loro fabbrica principale a Heleneborg, in Svezia. La fabbrica venne completamente rasa al suolo, morì Emil Nobel (il fratello di Alfred) e il governo svedese gli vietò di continuare a lavorare nelle vicinanze di centri abitati.
Preso dalla necessità di salvaguardare l’attività di famiglia, Alfred Nobel sfruttò la sua laurea in ingegneria chimica e si mise a cercare un modo per stabilizzare la nitroglicerina. Lo trovò mescolandola con delle farine fossili: nel 1867 nasceva la dinamite.
Nel 1871, con la guerra franco prussiana la dinamite trovò la sua prima applicazione nel campo di battaglia e Alfred Nobel, succeduto al padre nella guida dell’industria di famiglia, cominciò a fare soldi a palate.
Sul perché abbia deciso di destinare il suo patrimonio per creare i premi Nobel gira una storia inventata, ma riportata da tutti come fosse vera.
Secondo questa leggenda, nel 1888 Nobel avrebbe letto il proprio necrologio. Era morto un altro fratello, Ludvig, e un giornale francese, confondendo i due, avrebbe pubblicato il necrologio di Alfred. Il titolo sarebbe stato “Un mercante di morte è morto” e l’incipit “Alfred Nobel che divenne ricco trovando il modo di uccidere il maggior numero di persone nel modo più veloce possibile, è morto ieri”. Rimanendo turbato da questa vicenda avrebbe deciso di creare il premio Nobel.
La storia è intrigante, ma ha cominciato a circolare solo dal 1959, in una biografia di Nobel scritta da Nicholas Halasz. Peccato che quando venga riportata questa vicenda nessuno citi il nome del giornale che avrebbe pubblicato questo necrologio, che nessuno storico sia mai riuscito a trovarlo su nessun giornale e che l’utilizzo del termine “mercante di morte” è attestato solo dal 1932 in poi, 43 anni dopo la morte di Nobel.
In realtà “Le Figaro” del 15 aprile 1888 pubblicò un brevissimo necrologio (“Un uomo che non può essere facilmente scambiato per un benefattore dell’umanità è morto ieri a Cannes. È il signor Nobel, inventore della dinamite”) ed il giorno dopo pubblicò la smentita. Forse aveva letto il necrologio, ma questa vicenda non lo turbò affatto visto che non ce n’è traccia in nessuna delle sue corrispondenze di quel periodo.
La creazione del Premio Nobel è dovuta probabilmente ad un’altra vicenda.
Negli ultimi anni di vita, Nobel si avvicinò al movimento pacifista di quel periodo, soprattutto per le pressioni di Berta Kinsky, nobile decaduta, attivista pacifista che ebbe una lunga corrispondenza con Nobel, per il quale aveva lavorato come segretaria e governante per poco tempo.
La concezione pacifista di Nobel era però quella di un mercante d’armi. Lui voleva creare delle armi così potenti da non poter essere mai usate ed arrivare così alla pace. Come ha dimostrato la successiva scoperta della bomba atomica, queste teorie servono solo come scusa per costruire armi sempre più letali.
In più, era convinto che la “pace” sarebbe arrivata solo attraverso il progresso tecnologico e non attribuiva nessuna importanza alle mobilitazioni popolari contro le guerre.
Animato da questo spirito “pacifista” decise di premiare gli scienziati che si fossero distinti in chimica, fisica, medicina, letteratura e, per l’appunto, nella pace.
A Nobel interessava solo l’aspetto pratico e industriale delle scoperte. Per cui considerava di nessuna importanza le discipline eminentemente teoriche, come la matematica.
Ai premiati viene data una medaglia e un assegno pari a 9 milioni di corone svedesi (785.000 Euro). I fondi sono frutto degli interessi maturati sugli investimenti del capitale che Alfred Nobel lasciò alla fondazione e che attualmente ammonta a circa mezzo miliardo di euro.
In generale ci sono delle tendenze comuni nell’assegnazione dei premi Nobel. Quello per la letteratura è il meno allineato, viene dato anche a persone “ribelli”, tanto che Sartre, che lo vinse nel 1964, lo rifiutò.
Quelli per medicina, fisica e chimica risentono delle pressioni delle multinazionali, delle università e dei governi. Astrazeneca (la multinazionale farmaceutica anglosvedese) che si vanta di aver avuto, tra i suoi dipendenti, ben 7 premi Nobel, fu beccata nel 2008 a cercare di manipolare l’assegnazione.
Indipendentemente dalle ovvie pressioni, sono le modalità stesse del Nobel a far discutere.
A differenza del metodo scientifico che è una modalità di fare ricerca scientifica, le “scienze” non sono mai disgiunte dal potere. Dal potere economico, che indirizza e finanzia gli studi verso i settori da cui ritiene di poter trarre profitto. Dal potere politico/militare che è interessato alle scoperte scientifiche in funzione della possibilità di prevalere su altre realtà statuali. Dal potere accademico, che è fatto di uomini che tendono ad essere conservatori e difensori delle teorie fino a quel momento prevalenti proprio perché quegli uomini sono riusciti ad avere posizioni di rilievo in quel mondo proprio grazie ad esse.
I premi Nobel “scientifici” sono la compiuta celebrazione di questo modello, tutt’altro che scientifico, di espressione dei traguardi raggiunti.
Quello per la pace è il premio Nobel più “politico” e più esposto a figuracce per il comportamento dei premiati.
A volte sono stati dati Nobel a macellai solo per aver stipulato un accordo di pace, che poi magari non si concretizzò: Kissinger e Le Duc Tho nel 1973, Begin e Sadat nel 1978, Arafat, Peres e Rabin nel 1994. Ancora non si capisce perché l’abbiano assegnato nel 2009 a Barak Obama se non per piaggeria nei confronti dell’appena eletto presidente USA.
Quest’anno destava preoccupazione da parte israeliana la possibilità che il premio Nobel per la pace fosse assegnato a qualcuno critico verso il genocidio in corso a Gaza. Per non fare polemiche l’hanno assegnato alla Nihon Hidankyō, una confederazione giapponese fondata dai sopravvissuti alle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
Il premio Nobel per l’economia invece non è stata un’iniziativa di Alfred Nobel ed è relativamente recente.
Negli anni ’60 del Novecento ci fu un duro scontro tra la Banca Centrale Svedese ed il governo socialdemocratico. Il governo voleva che la banca finanziasse le politiche economiche espansive miranti a ridurre la disoccupazione. La Banca, rivendicando la propria indipendenza, sosteneva che l’unico suo ruolo era di garantire la stabilità dei prezzi. Erik Åsbrink, capo economista della Banca, teorizzò che la colpa dell’elevata disoccupazione fosse dei lavoratori sindacalizzati che non volevano farsi abbassare i salari. Erano gli anni in cui si teorizzava la “Curva di Phillips” che sostiene che una scarsa disoccupazione si ha con un’alta inflazione.
Lo scontro tra la Banca Centrale Svedese ed il governo toccò il suo massimo quando la Banca Centrale decise di alzare i tassi di interesse ed il governo fu costretto ad indebitarsi pesantemente mentre la Banca, con i tassi aumentati, faceva notevoli profitti.
Il governo voleva trasferire presso il ministero del tesoro i due terzi di quei profitti e la banca si opponeva. Erik Åsbrink allora propose di usare quei profitti in occasione del tricentenario della fondazione della banca centrale svedese per creare un premio Nobel per l’economia da affiancare ai premi Nobel già esistenti.
Del resto l’Accademia delle Scienze svedese già conferiva agli economisti la medaglia Söderström, sarebbe bastato versare i profitti della banca centrale alla fondazione Nobel per trasformare quella medaglia in un premio Nobel.
Così fu fatto e nel 1969 nacque il “Premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel” da tutti conosciuto come Premio Nobel per l’economia.
Il fatto che fosse finanziato dalla Banca Centrale Svedese (che formalmente non ha alcun ruolo nella scelta dei premiati) e che fosse nato su questa polemica tra liberisti e fautori dell’intervento dello stato nell’economia, ha fatto sì che, tranne due eccezioni (Myrdal nel 1975 e Tobin nel 1981), tutti i premiati fossero teorici del neoliberismo, dell’autoregolazione dei mercati, del capitalismo selvaggio e, molto spesso, delle dittature e del militarismo. Anche la provenienza dei premiati è sostanzialmente univoca: sono tutti professori di università statunitensi (al 90%) o, quanto meno, sono interni al dibattito economico statunitense.
Tanto per citare alcuni dei premiati: nel 1976 il Nobel fu dato a Milton Friedman, consulente economico di Pinochet, teorico del liberismo selvaggio e del monetarismo, che fornì la base teorica per le politiche della Thatcher e di Reagan.
È stato un amico di Pinochet e noto teorico del liberismo selvaggio James Buchanan, premiato nel 1986.
Nel 1992 furono premiati il sessismo e la misoginia di Gary Becker, quello che suggeriva ai poveri di vendersi un rene per aiutare la sanità con il libero mercato.
Ad Aumann e Schelling il premio nel 2005 fu dato per aver applicato la teoria dei giochi al militarismo bellicista statunitense.
L’anno scorso è stato assegnato a Claudia Golin per gli studi sul lavoro femminile e sulla differenza salariale di genere. Per quanto leggermente anomalo rispetto ai precedenti, gli studi della Golin si rifanno a un mercato del lavoro di tipo capitalistico e non affrontano mai il conflitto tra capitale e lavoro e tra capitalisti e lavoratori (o lavoratrici che siano).
In generale, la scelta di conferire il Nobel per l’economia serve più a rafforzare l’autorevolezza di alcuni economisti e a santificare il capitalismo liberista più che a riconoscere il contributo teorico o pratico all’analisi economica.
Quest’anno il Premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel è stato assegnato a tre professori universitari statunitensi, Acemoglu, Johnson e Robinson, per i loro lavori sulla relazione tra stabilità istituzionale e crescita del PIL.
Dei tre il più famoso (e più citato) è Acemoglu che, tra le altre cose, ha scritto alcuni libri (“Perché le nazioni falliscono”, “Potere e progresso”, “La strettoia”, “Origine economica della dittatura e della democrazia”) soprattutto con Robinson analizzando la storia economica delle varie nazioni, la colonizzazione, la tecnologia e l’evoluzione delle strutture di potere negli stati colonizzati. Johnson è stato anche economista capo del Fondo Monetario Internazionale.
La loro tesi di fondo è che dove i paesi colonizzatori si sono limitati a una politica estrattivista, i paesi colonizzati, una volta divenuti indipendenti, hanno mantenuto delle istituzioni basate sull’arricchimento dei pochi al potere. Dove invece i colonizzatori hanno creato delle società inclusive e aperte, queste sono state beneficiate dal benessere economico una volta divenute indipendenti. E, come nazioni beneficiate da questo tipo di politica coloniale, citano gli USA, il Canada, l’Australia.
Le nazioni che citano ad esempio sono quelle in cui le popolazioni locali preesistenti all’arrivo dei coloni sono state sterminate. È chiara anche la sottovalutazione dei paesi (come India e Cina) che, pur non aderendo alle tesi da loro proposte per il benessere, presentano tassi di crescita dell’economia più elevati.
Teorizzano un “stato forte” a cui faccia da contrappunto una “società forte” e dimenticano che, in una società divisa in classi, la forza della società è l’espressione della forza della classe dominante, l’unica che verrà tutelata dallo stato che sarà “forte” ma solo con i deboli.
Si tratta di una teorizzazione che serve a celebrare il “primato della democrazia” (e magari la sua esportazione…) ed i benefici della globalizzazione con il capitalismo USA come modello.
In piena continuità con i cantori dell’economia di mercato e del liberismo selvaggio a cui sono stati assegnati praticamente tutti i premi Nobel dell’economia dalla sua istituzione a oggi.
Fricche